"Chiunque, ascoltando parlare Plasson, avrebbe concluso che c'erano solo due possibilità: o era insopportabilmente altezzoso o era scemo. Ma anche lì: bisognava capire. Plasson aveva questo, di curioso, quando parlava: non finiva mai una frase. Non riusciva a finirla. Arrivava alla fine solo se la frase non superava le sette, otto parole. Se no, si perdeva a metà. Per questo, soprattutto con gli estranei, cercava di limitarsi a proposizioni brevi e incisive. E in questo, va detto, aveva del talento. Certo, risultava un po' supponente e fastidiosamente laconico. Ma era sempre meglio che risultare vagamente babbeo: cosa che regolarmente accadeva quando si lanciava in frasi articolate, o anche solo normali: non riuscendo, mai, a finirle.
- Ditemi, Plasson: ma c'è qualcosa, al mondo, che voi riuscite a finire? -, gli aveva chiesto un giorno Ann Deveirà, inquadrando con il consueto cinismo il cuore del problema.
- Si: le conversazioni spiacevoli -, aveva risposto lui, alzandosi da tavola e andandosene in camera. Aveva del talento, come si è detto, a trovare risposte brevi. Vero talento."
Questo testo è estratto da Oceano Mare di Alessandro Baricco, il mio libro preferito. Tratta delle storie di alcune persone, che si intrecciano attorno ad un'improbabile locanda sul mare. Mare che è anche il filo conduttore di tutte queste storie. Uno dei personaggi è uno strampalato pittore, impegnato tutto il giorno a cercare di fare un ritratto del mare. Cosa difficile se per dipingere si usa solo acqua marina.
Il risultato di tutti i suoi sforzi è quindi un cumolo di tele rigorosamente bianche, che finiscono tutte con l'essere buttate.
Un libro consigliatissimissimo.
mercoledì 18 marzo 2009
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